lunedì 22 dicembre 2014

Il traffico illegale di reperti archeologici: un furto al patrimonio storico dell'umanità intera #cultureforpeace



Nella piana di Ninive, nei pressi dell’odierna città di Mossul in Iraq, sono presenti i resti archeologici della prima civiltà stanziale che l'umanità abbia conosciuto. La ricca storia dell’area ha visto un susseguirsi di popoli che hanno lasciato traccia della loro civiltà: da reperti preistorici risalenti al VI millenno a.C., a quelli di epoca Uruk per non tralasciare i lasciti dei regni Assiri. Resti archeologici importantissimi per la storia dell'umanità intera che ha vissuto epoche di grande livello culturale nella fertile area a nord della Mesopotamia e al cui recupero e riscoperta ha contribuito, tra gli altri e ripetutamente, anche una missione archeologica italiana di un team di ricercatori dell'Università di Udine. Oltre al drammatico bilancio di vite umane, i violenti scontri in Iraq degli ultimi decenni hanno danneggiato pesantemente il patrimonio culturale, uno dei più preziosi e antichi del mondo. Oggi il cosiddetto Stato Islamico ha colpito con violenza moltissime testimonianze della ricca presenza multiculturale preislamica di quel Paese e risulta, da numerose fonti crescenti, che gli scavi di materiale archeologico in qualche misura autorizzati dal nuovo Governo, sono al centro di un traffico crescente di manufatti e ritrovamenti antichi che, venduti su mercati internazionali, da un lato, costituiscono una delle principali fonti di finanziamento di chi sta oggi perpetrando violenze inaudite su civili di ogni fede e nazione, e, dall'altro, contribuiscono a disperdere in modo irrecuperabile un patrimonio culturale inestimabile dell'umanità. Vere e proprie archeomafie su scala internazionale che si stanno sviluppando a danno della collettività e di questo immenso patrimonio storico. Nel campo dell’archeologia e in particolare del recupero di reperti archeologici oggetto di tale traffico illegale, l'Italia ha competenze uniche riconosciute e che potrebbero essere il contributo peculiare del nostro Paese tanto alla lotta al terrorismo quanto alla difesa di quel patrimonio dell'umanità che ha lasciato il passato e che è fondamentale per il futuro. Senza memoria non c’è futuro, togliere le radici a un popolo è estirparlo dalla terra perché senza radici non può continuare a progredire e senza un patrimonio culturale non potrà amare la propria storia e quindi proteggerla. 
Un'interrogazione parlamentare dell'on. Roberto Rampi (PD) punta a fare chiarezza sulla vicenda e chiede che il Governo si occupi di fare modo che l'Italia sia parte attiva in una task force internazionale che prevenga tali fenomeni di contrabbando e commercio illegale.

mercoledì 3 dicembre 2014

Lasciare la libertà d'informazione in balia del mercato? Non proprio.

Un intervento approfondito e non banale quello dell'on. Roberto Rampi che oggi ha incontrato in Commissione Cultura alla Camera Marco Travaglio in occasione dell'audizione sull'abolizione del finanziamento pubblico all'editoria. Un pezzo di ragionamento in più su un tema di cui tanto si parla ma poco si conosce effettivamente nella sua complessità.

"Vorrei capire nell’esperienza del Fatto Quotidiano se si sostiene solo con le entrate dei lettori o anche con le entrate della pubblicità e quindi la domanda poi che diventa un po’ più generale è questa, cioè se l’informazione sia un servizio o un prodotto e quindi a chi risponde rispetto a chi la finanzia.
Mi sembra di intuire dalla sua prima lettura che lei sostiene che il finanziamento pubblico potrebbe portare l’informazione a dipendere di fatto dal potere di quel Paese. Io penso però che se una norma è fatta bene – e quindi noi siamo convinti che vada riformato il finanziamento – il tipo di informazione che si va a dare non porta ad un’informazione che dipende dal potere in quel momento ma dovrebbe avere delle caratteristiche di oggettività e quindi sostenere tutta una serie di voci plurali, soprattutto piccole, soprattutto indipendenti che invece nel libero mercato potrebbero non farcela.
Come però la preoccupazione che il finanziamento pubblico porti l’informazione a dipendere dal potere, l’idea che ci sia un libero mercato dell’informazione non porta l’informazione a dipendere da quelle entrate economiche che la sostengono economicamente, ad esempio da grandi o piccoli potentati economici?
Dico grandi o piccoli perché molto spesso parliamo di giornali a livello locale che stando alle regole del finanziamento potrebbero avere la possibilità di essere completamente indipendenti. Vivendo esclusivamente di un’entrata pubblicitaria potrebbero rispondere agli interessi economici di un soggetto locale che è disposto a fare pubblicità su quel giornale ma in cambio vuole una particolare attenzione alle informazioni etc.
Mi domando, su un piano urbanistico un giornale che vive in maniera significativa delle pubblicità di un gruppo edilizio che va a costruire in quella realtà avrà la possibilità di essere indipendente nel giudicare quel piano urbanistico, quel provvedimento che favorisce un operatore rispetto a un altro?
Questa è un po’ la riflessione di fondo che ci facciamo che a me porta a questa grande domanda: se l’informazione è un prodotto o è un servizio e quindi se è un servizio come altri servizi – penso a quelli sanitari, sociali, bibliotecari, culturali – non deve essere in qualche modo garantito grazie alle tasse che i cittadini pagano e che servono a garantire dei servizi?
E la seconda domanda è questa, che è collegata: se noi facciamo vivere l’informazione esclusivamente del ritorno di mercato che ha, perché di questo stiamo parlando, non c’è il rischio che ciò che non va di moda, che non interessa in quel momento non possa più avere voce? Pur sapendo che a volte nella storia le cose che non andavano di moda dicevano qualcosa di molto importante che magari in quel momento non tirava, non funzionava. Perché il rischio è che in questo modo sopravviva solo ciò che funziona, solo ciò che piace, ma quello che piace in quel momento ai più non è detto che sia - io non dico la verità, perché non so dove stia la verità però io credo che la verità si componga dall’esistenza di una pluralità di opinioni. Quindi la mia preoccupazione come legislatore è capire come fare a garantire la libertà d’opinione.
Poi bisogna essere d’accordo che bisogna intervenire su tutto ciò che può essere spreco, tutto ciò che può essere sostegno occulto e quindi capire anche quali sono le forme. Ad esempio esistono e sono esistite delle sovvenzioni per far abbassare il costo della carta dei giornali e mi risulta che anche il Fatto ha usufruito di questo tipo di supporto pubblico. Si potrebbe forse pensare di mettere in campo una serie di servizi. Si potrebbe pensare, ma in parte oggi è già così, a legare la possibilità di accedere al finanziamento pubblico a una serie di criteri di qualità, nella modalità in cui si lavora in quei giornali, nella modalità in cui sono qualificate le competenze di chi ci lavora e quindi anche forme di competenza legate alla qualità.
Insomma la domanda di fondo è questa, se davvero lei è convinto che abolendo tout court il finanziamento si ottenga nella libertà una specie di magia dell’economia, la pluralità delle informazioni – e traspare la mia convinzione che non sia così – se questo non rischi di vedere grandi o piccole testate tutte dipendenti di fatto da diversi poteri economici, che in alcuni casi sono anche proprio i loro lettori. Lei ha detto “ci possono comprare solo i nostri lettori” però se io per farmi comprare devo continuare ad assecondare i miei lettori quando devo dire una cosa scomoda che ai miei lettori non piace forse mi faccio qualche dubbio se dirla o meno.
Io vorrei che un giornalista o una testata possano sentirsi sempre in qualsiasi momento liberi di dire quello che ritiene sia quella vicenda e di raccontarla come ritiene giusto raccontarla senza preoccuparsi di chi la compra o di chi gli fa pubblicità o di chi la paga."

mercoledì 26 novembre 2014

Radici, tronco, rami, fiori e frutti

Cara Bindi che dici che il Partito Democratico dovrebbe recuperare le sue radici: le radici sono molto lontane, un albero che si piega sulle sue radici non cresce forte e rigoglioso. Un albero dopo le radici ha bisogno di tronco, rami, luce, foglie, fiori e frutti giovani, non di continuare a ripiegarsi sulle radici per controllare che ci siano.
Il mondo del lavoro è cambiato, il mondo dei giovani è cambiato, la società e l'economia sono cambiate, forse sarebbe meglio darsi da fare per far sbocciare questo Paese e dar vita a tutti i suoi potenziali. Ricordando che le radici ci sono, sono lì ad alimentarlo, ma andando molto oltre.
La preoccupazione quindi non deve essere quella di "restituire" il Partito Democratico alle sue radici ma andare avanti, crescere.

mercoledì 19 novembre 2014

Ampliare i significati della parola "demansionamento"



Caso 1: Ingegnere di una certa età, diciamo sessantenne o più, convinto di essere bravissimo, ma che  senza la segretaria non sa stampare un foglio da solo e non trova sulla scrivania gli occhiali per leggere quello che gli è stato stampato, siccome si è guadagnato negli anni il diritto a non timbrare il cartellino più di una volta al giorno, entra in ufficio quando vuole e se ne va quando vuole. Qualcuno inizia a insinuare che non sia poi così bravo, e dal momento che lo pagano troppo ma non possono abbassargli lo stipendio né licenziarlo, provano a spostarlo in un reparto in cui abbia meno responsabilità e possa tirare la pensione in tranquillità, senza scossoni per l'azienda. Se gli si dice che non è più all'altezza dello stipendio che percepisce, si offende il suo orgoglio maschile quindi non si può neppure insinuarlo. Se lo si invita allo scivolo per la pensione, non vuole perché ha la moglie a casa con 10 anni di meno che dovrà andare in pensione chissà quando e rompe le scatole perché il marito in casa tutto il giorno non lo vuole (manco l'avesse sposato un'altra, non so). Anzi talvolta l'anziano tenta pure di rimanere oltre l'età pensionabile perché è davvero convinto che il suo ruolo sia indispensabile. Casistica abbastanza simile quando la persona in oggetto non è un ingegnere ma ha fatto la terza media o ragioneria d'altri tempi, e tenta di affossare tutti i laureati appena assunti perché soffre di una sindrome di inferiorità e quindi teme gli facciano le scarpe. Si prova a mandarlo a fare fotocopie, e si sente demansionato, ovviamente tutto il sindacato dalla sua parte anche perché ha passato una vita a intessere rapporti finti col preciso scopo di essere poi tutelato in caso di necessità. In sostanza: non ce ne si può liberare.

Caso 2: Donna di mezza età, che lavora perché le serve dimostrare al mondo che lei è emancipata ma non ha nessuna intenzione di fare alcun cambiamento nella sua vita né di emanciparsi da nulla, lei è l'emblema del sistema fatto persona. La routine è la sua missione primaria, farebbe di tutto per non far cambiare neppure la marca della miscela di caffè della macchinetta, va al mare nello stesso paesino in Liguria da 30 anni spendendo la stessa cifra di un viaggio alle Maldive ma scrolla la testa di fronte alle colleghe che vanno "all'estero". Se amministrativa in un ufficio pubblico, pensa che il suo stipendio sia un ovvio diritto perché lei è stata furba e aveva capito da sempre che bisognava fare i dipendenti pubblici per essere garantiti, anzi: quelli della generazione precedente alla sua erano pure baby-pensionati inpdap mentre a lei tocca lavorare di più, in fondo in fondo l'han fregata. Un mattino arriva al lavoro, trova il sistemista che le sta cambiando il gestionale, senza essere stata avvertita prima. Le comunicano che ci sarà un corso di formazione per imparare ad utilizzare il nuovo programma, ma lei non ha ancora digerito l'affronto, qualcuno ha messo mano al suo pc senza avvertirla e il programma nuovo sicuramente rovinerà la sua routine. Si rifiuta di fare il corso di formazione, chiede all'azienda di fare un lavoro più semplice del complicatissimo inserimento dati che svolgeva prima. E' a tempo indeterminato, non possono lasciarla a casa né toccarle lo stipendio quindi inizia ad andare a ritirare stampe e far fotocopie per conto di tutti. Orgogliosa e soddisfatta, dopo due anni ancora circola per gli uffici spiegando che lei non fa nulla perché un giorno le hanno chiesto di imparare a utilizzare uno strumento nuovo e lei non si è fatta fregare. Quando ci sono dei picchi di lavoro che i colleghi senza di lei non riescono a gestire, assumono a metà della sua paga una giovane neolaureata che in un paio di giorni impara il programma, gestisce gli utenti, le telefonate e non si ammala mai. Dopo due mesi la lasciano a casa perché il picco di lavoro è finito, l'altra è ancora lì e continua a far fotocopie, senza aver subito alcun demansionamento. Anzi, tra alcune colleghe si vocifera persino che sia un privilegio. 

Caso 3: Giovane interinale, fa il corso obbligatorio sulla legge 626 e gli comunicano che i lavoratori al videoterminale hanno diritto a una pausa di 15 minuti ogni 2 ore per far riposare gli occhi dallo schermo del pc. L´art. 54 del D. Lgs. 626/94 specificatamente per i videoterminalisti cita: "Il lavoratore, qualora svolga la sua attività per almeno quattro ore consecutive, ha diritto ad una interruzione della sua attività mediante pause ovvero cambiamento di attività." In assenza di  contrattazione collettiva la pausa dovrà essere di quindici minuti ogni due ore di lavoro continuativo al videoterminale (la contrattazione collettiva può prevedere 10 minuti se c'è un cambio di attività all'interno della giornata lavorativa). Pertanto, questo significa che può andare a fare fotocopie, ritirare stampe, riorganizzare l'archivio, insomma può svolgere delle attività alternative allo stare di fronte allo schermo ogni 2 ore almeno, al fine di preservare la propria salute. 

Intanto che voi discutete se andare a far fotocopie sia un demansionamento o un privilegio, una fortuna o una sfortuna, il meglio o il peggio, sappiate che da qualche parte un giovane interinale sta facendo fotocopie in pausa. 

L'ora di ... Buddhismo

La notizia è stata riportata qualche tempo fa, ma per fortuna non è rimasta inascoltata.
Una mamma di Ravenna ha deciso di togliere il figlio dall'ora di religione ma era "troppo tardi" per cambiare idea, la Curia accetta la scelta se frequentare l'ora di religione o no solo fino a febbraio.
La signora ha brillantemente risolto il problema dichiarandosi buddhista, e detto fatto, il bambino è subito stato tolto dalla classe. Per qualche motivo il laicismo non è consentito, l'affermazione del fatto che l'ora sia facoltativa neppure, il cambio di culto sì.
Stamattina su Repubblica un articolo di Alessandra Longo riporta la notizia dell'interrogazione al Ministero dell'Istruzione portata avanti da 3 parlamentari che hanno voluto approfondire la questione.

Rumore di niente

La spettacolarizzazione della politica è un fenomeno a cui assistiamo ormai da molto tempo. 
Mira a coprire il lavoro vero, l'impegno costante (che spesso non fa notizia) e le cose concrete costruite piano piano in nome del "titolo" e di una presunta migliore visibilità. 
Le persone non sanno ascoltare un discorso intero, prendono solo la battuta divertente e cercano di costruire il conflitto anche dove non dovrebbe esserci, perché l'idea che tutto sia conflitto risponde agli istinti delle persone e non richiede ulteriori ragionamenti. 
Così è più facile vendere il proprio prodotto, farsi notare in una selva di media che concorrono tra loro a chi attira più fan, più followers, più click, più mi piace.
Il tutto però sta portando a una semplificazione ai limiti dell'infantilismo e dell'analfabetismo funzionale e trovo tutto ciò assolutamente dannoso per lo sviluppo umano e culturale della nostra società. Non ci sono ricette miracolose per risolvere i problemi, c'è un lavoro comune sul lungo periodo, l'idea che le cose vadano analizzate a fondo e capite prima di essere giudicate, ma se si perde tutto questo si perde la base della democrazia. Si va dicendo alle persone che non conta il pensiero ma lo slogan, che non conta l'approfondimento ma la capacità di dire cose semplici in modo da essere capiti, non conta l'autenticità ma la capacità di dire la frase giusta al momento giusto per essere politicamente corretti. Non si cerca di spiegare quando non si è capiti, si va dietro a chi non capisce mettendosi sullo stesso piano. 
Si perdono gli obiettivi veri in nome di ... di cosa esattamente? Di piccoli obiettivi a breve termine che non hanno in sé una visione del futuro e del Paese come lo vorremmo. 

martedì 11 novembre 2014

#metroavime portate la metropolitana a Vimercate

Ho appena lanciato una petizione su change.org per il prolungamento della metropolitana M2 da Cologno Nord a Vimercate, la trovate qui

I collegamenti della regione urbana milanese sono uno dei fattori cruciali dello sviluppo del Paese e l'arrivo del prolungamento della MM2 verde da Cologno Nord a Vimercate è stato sottoscritto dal Governo in un accordo di programma che è stato siglato nel 2007 tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, Regione Lombardia, province di Milano e Lodi, CAL, ANAS e rappresentanti dei comuni.  Non si può aver stilato un accordo di programma e non farne più niente, anche considerato che quell'accordo si basava su due principi, uno era la linea del ferro, l'altro era la linea autostradale. La Tangenziale Est Esterna sta procedendo, sta andando avanti ed è stata rifinanziata infatti nella primavera del 2015 sarà operativa e le due cose ovviamente devono stare insieme.
Con il prolungamento della linea verde della Metropolitana fino a Vimercate sarà possibile collegare una delle aree più popolose dell’area urbana milanese e una delle più significative dal punto di vista produttivo mettendo in connessione diretta Milano con l'area del distretto hi-tech, inoltre ogni giorno transitano sulle nostre tangenziali pendolari provenienti da Bergamo, Lecco, Como e Varese con gravi danni per le persone e per l'economia, gravi ritardi e incertezze nella puntualità dell’arrivo delle merci, difficoltà per il raggiungimento del posto di lavoro, gravi danni per l'inquinamento e quindi sul lungo periodo per la salute dei cittadini. E sicuramente un alleggerimento del traffico sulla tangenziale Est sarebbe un vantaggio anche per l’aeroporto di Linate che oggi è più difficilmente raggiungibile in tempi brevi proprio per la congestione del traffico. Tra l’altro ci sono anche i margini per ridurre i costi del progetto iniziale, prevedeva un investimento di 477 milioni di €, per esempio sviluppando tutto il tracciato in superficie.  A gennaio 2014 si è parlato di utilizzare i soldi dell’aumento del casello della Tangenziale Est di Agrate per finanziarla ma al momento anche questo è rimasto solo un progetto.
I cittadini di Vimercate, Concorezzo, Agrate Brianza, Brugherio e tutti i lavoratori delle aziende di quest’area aspettano da anni la metropolitana.

sabato 8 novembre 2014

A quali condizioni può sopravvivere l'Euro?

La domanda è: siamo Europei?

La domanda da porsi non è sulle condizioni, ma su chi siamo. Siamo Europei? Perché se fossimo veramente consapevoli della nostra identità Europea, non ci sarebbe alcun dubbio sulla necessità di una moneta unica.
Se c’è un problema di percezione della nostra identità Europea, non è economico ma culturale. Da ricercare nelle radici più antiche dell’Europa, e nel gran numero di fattori cosiddetti “divisivi”. In una società sempre più frammentata, che ha perso il senso di comunità, si cerca una nuova identità e ci si scopre a non trovarla più nella sicurezza della famiglia, dei rapporti dovuti per, dell’infallibilità della Chiesa. Si cercano nuove sicurezze economiche, nelle auto a rate, la casa a rate, il tempo indeterminato.
Poi arriva la crisi che mette in discussione il tutto e gli uomini (o le donne) soli, solitari, che hanno investito tutto in beni materiali considerando la Cultura un lusso si ritrovano senza più nulla. O magari senza una piccola percentuale di quello che avevano prima, ma in ogni caso con un grande bisogno di autodefinirsi in qualche modo: disoccupati in quanto non occupati, donne perché diverse dagli uomini, minoranza perché non maggioranza, oppure italiani in quanto non tedeschi, inglesi, extracomunitari etc.
Definirsi italiani aiuta a identificare un altro da criticare, incolpare, correggere, da cui dissentire. Essere Europei implicherebbe uno sforzo troppo grande, vuol dire mettere in gioco l’essere italiani e i valori trasmessi da parenti e vicini di casa, che magari non saranno simpatici ma sappiamo già chi sono, per provare a aprirsi alle novità e a considerare positivo il cambiamento. Provare a guardare come lavorano i tedeschi, i diritti delle donne francesi o inglesi, le politiche di accoglienza degli stranieri degli altri Paesi. Confrontarsi, guardare al modello migliore, farlo proprio. Ma come è possibile tutto ciò se ancora pensiamo in lire? Se chiamiamo l’Europa quando arrivano dei profughi di guerra sulle nostre coste e poi la disprezziamo quando dall’Europa ci mostrano un modello economico o lavorativo chiedendoci di valutarlo e prenderlo in considerazione in toto, con diritti e doveri, non solo quando fa comodo?
Le domande sono tante e la chiave non è nell’economia ma nella forma mentis delle persone, nella capacità che avremo di far sentire più Europei tutti i cittadini, nel non chiuderci in campanilismi e provincialismi che nel 2014 rasentano il ridicolo. Dare a tutti gli strumenti culturali per ripensare il mondo intero in un’ottica globale, per superare l’idea dell’altro come nemico attraverso cui identificare se stessi. L’Europa può confrontarsi, nel suo insieme, con gli Stati Uniti, col mondo islamico, con l’Estremo Oriente in veloce crescita. Dipendiamo gli uni dagli altri, ma spesso non ci piace, preferiamo semplificare perché è più facile, vorremmo un confine chiaro per stabilire cosa è “nostro” cosa è “loro”.  L’Italia da sola sul mercato internazionale non esiste, ma non esiste da sola neanche quando si parla di politica estera o di diritti umani. Siamo già Europei geograficamente ed economicamente, ora dobbiamo lavorare per esserlo anche culturalmente. 

 

Nozze d'argento per le due Germanie

A 25 anni dalla caduta del muro, le due Germanie pur mantenendo un grande divario di ricchezza ed efficienza in alcuni campi hanno dimostrato una capacità di coesione e di rinascita da cui dovremmo davvero prendere esempio. Ora sono una potenza economica leader in Europa, un tasso di disoccupazione al 5,3%, composta da cittadini laici (il corrispondente dell'8 per mille è facoltativo), abituati a fare l'università lontano da casa invece che a fare i pendolari per 100 km come si usa qui in Italia. Treni puntuali, nessun limite di velocità in autostrada eppure meno incidenti stradali. Molti più affitti e meno mutui, segno di una capacità insita nella maggioranza della popolazione di non vedere il potenziale cambiamento come un ostacolo bensì come un'opportunità. Grandissimi investimenti sul turismo, nonostante le macerie della seconda guerra mondiale, niente mare e poche montagne. La maggior parte dei tedeschi parla un ottimo inglese, anche tra chi svolge lavori non particolarmente elevati.
Forse dovremmo imparare a rimboccarci le maniche e a responsabilizzarci. A cambiare verso per davvero.
Forse l'articolo 18 non è la madre delle battaglie, ma una bandierina su una piramide di fango.
Perché se in Italia combattessimo per sconfiggere la mafia, la voglia di far niente e iniziassimo a comportarci con consapevolezza, ovvero responsabilizzandoci per le nostre azioni e mettendo da parte l'omertà potrebbe cambiare qualcosa?
Ha senso che a più di 150 anni dall'Unità d'Italia ci sia ancora un divario fra nord e sud così consistente? E ha senso che alcuni diano la colpa di tutti i mali all'Europa? Certo trovare un responsabile "fuori" è sempre più facile che guardarsi in casa e iniziare ad agire.

Stato Tasso di disoccupazione (%)
Media 1998Media 2001Media 2004Media 2007Media 2010Media 2013
Austria Austria4,53,64,94,44,44,9
Belgio Belgio9,36,68,47,58,38,4
Croazia Croazian.d.15,913,89,611,817,6
Danimarca Danimarca4,94,55,53,87,57,0
Finlandia Finlandia11,49,18,86,98,48,2
Francia Francia10,78,29,38,49,710,8
Germania Germania9,47,910,58,77,15,3
Grecia Grecia11,110,710,58,312,627,3
Irlanda Irlanda7,53,94,54,713,913,1
Italia Italia11,39,08,06,18,412,2
Lussemburgo Lussemburgo2,71,95,04,24,65,9
Paesi Bassi Paesi Bassi4,32,55,13,64,56,7
Portogallo Portogallo5,64,67,58,912,016,5
Regno Unito Regno Unito6,15,04,75,37,87,5
Spagna Spagna15,910,510,98,320,126,4
Svezia Svezia8,25,87,46,18,68,0
Bulgaria Bulgarian.d.19,512,16,910,312,9
Cipro Cipron.d.3,94,63,96,316,0
Estonia Estonian.d.12,69,74,616,98,6
Lettonia Lettonian.d.13,511,76,119,511,9
Lituania Lituania13,217,411,64,317,811,8
Malta Maltan.d.7,67,26,56,96,5
Polonia Polonia10,218,319,19,69,710,3
Rep. Ceca Rep. Ceca6,58,18,35,37,37,0
Romania Romania5,46,68,06,47,37,3
Slovacchia Slovacchia12,719,518,411,214,514,2
Slovenia Slovenia7,46,26,34,97,310,2
Ungheria Ungheria8,75,66,17,411,210,2
Unione europea Zona euro10,38,29,37,610,212,0
Unione europea Unione european.d.8,69,37,29,710,8
Stati Uniti Stati Uniti4,54,85,54,69,67,4
Giappone Giappone4,15,04,73,95,14,0

Roberto Rampi: anche in Brianza le comunità sono una chiave essenziale

Da "La Rivista che Vorrei" una bella intervista di Pino Timpani all'on. Roberto Rampi del Partito Democratico.
Un breve estratto:
"Nel novecento qualcuno ha scritto delle parole molto belle su questo tema. Recentemente ho visto il film su Leopardi. Prendendo un poco le distanze dai circoli illuministici, a cui si era legato in un primo tempo, il poeta dice: non credo possa esistere una società intesa come una massa di persone felici e composta da individui felici. C'è una drammaticità della condizione dell'individuo in quanto tale, antropologica, che va affrontata. Non si può risolvere con la risposta dei bisogni di massa. Peraltro Leopardi anticipa di un secolo e mezzo alcune questioni poste per esempio da Pasolini. Oggi il punto è questo. Abbiamo lavorato molto nella seconda metà del novecento sull'individuo, però abbiamo perso il senso delle relazioni comunitarie. L'essere umano innanzi tutto è un animale sociale, se perde le relazioni cambia tipo di natura."
Da leggere, perché la crisi sia un'occasione per riscoprire un senso di comunità perduto. 

venerdì 7 novembre 2014

Sondaggio sulla privacy nei call center

Un sondaggio per informare gli utenti, i clienti, i pazienti, insomma tutti coloro che si trovano per qualche motivo a contattare un call center senza chiedersi chi c'è dall'altra parte e soprattutto DA DOVE rispondano.
L’articolo 24-bis (DL 83/2012, conv. in L. n. 134/2012) dispone che quando un cittadino effettua una chiamata ad un Call Center deve essere informato preliminarmente sul Paese estero in cui l'operatore con cui parla è fisicamente collocato e deve, al fine di poter essere garantito rispetto alla protezione dei suoi dati personali, poter scegliere che il servizio richiesto sia reso tramite un operatore collocato su territorio nazionale. Le delocalizzazioni in altri paesi dei servizi di call center sono conseguenza diretta dell mancato recepimento della direttiva UE 23/2001 sulla tutela dei lavoratori nei cambi di appalto, con evidenti rischi per la tutela della privacy. Oltre a questo, i lavoratori in Tunisia, Albania e Croazia sono inoltre ovviamente pagati in modo differente da quelli italiani, a cui pure spesso non viene applicato il regolare livello previsto dal CCNL delle telecomunicazioni.
Il sondaggio è disponibile QUI. Diffondetelo per aumentare la consapevolezza che quando si telefona a un'azienda si parla con una persona fisica e non con un robot e per far conoscere ai consumatori i propri diritti.

giovedì 6 novembre 2014

Matteo Renzi in Alcatel: il nostro tempo è adesso

Nel pomeriggio il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha fatto visita all'Energy Park di Vimercate, insieme all'on. Roberto Rampi e al sindaco Paolo Brambilla, incontrando e ascoltando il management e i lavoratori di Alcatel Lucent e visitando i laboratori di ricerca: "Questo intervento di innovazione è un percorso simbolico che deve fare anche il Paese" ha dichiarato. Poi un bellissimo intervento seguito in videoconferenza da tutti i dipendenti, per sottolineare i valori aziendali: "velocità, fiducia, semplicità, accountability" che siano un esempio positivo anche per semplificare la burocrazia del Paese. Non è mancato un invito ai giovani delle scuole superiori presenti a non credere a chi dice che in Italia non c'è futuro. "La storia italiana è piena di innovatori, innovare è nel nostro DNA" parte dalla storia di Antonio Meucci, per ricordare come il nostro Paese sia "un posto dove fioriscono le idee e si fanno crescere, questo è lo spirito italiano che ci ha fatto grandi nel corso degli anni".
Ha poi sottolineato l'importanza di investire sull'agenda digitale e sulla banda larga e il grande potenziale di sviluppo del settore hi tech e la necessità che l'Europa riconosca questa esigenza come prioritaria. 

lunedì 20 ottobre 2014

Cultura: Il motore dello sviluppo. Un cambio di passo per il Paese.

Cultura: Il motore dello sviluppo. Un cambio di passo per il Paese. | PD - Gruppo della Camera


"La diffusione della cultura
è una precondizione della democrazia. La comprensione dei beni
artistici e paesaggistici e del loro valore è la chiave della loro
difesa. Non esiste contrasto tra tutela e valorizzazione.
Con la cultura si mangia, si fa il pane e soprattutto si semina il grano. La cultura non è un giacimento da sfruttare ma un campo da coltivare perché dia i suoi frutti."

Una grande occasione di incontro e confronto con i massimi esperti del settore sabato 25 ottobre in Villa Reale a Monza.