venerdì 31 luglio 2015

Trenord offre un servizio o crea un ostacolo?


La domanda è legittima, se intendiamo il treno come un normale strumento attraverso cui un lavoratore può raggiungere il luogo di lavoro. Raggiungere? Forse. Puntuale? Magari. Tornare a casa a un’ora decente? Può darsi. L’annuncio all’altoparlante nei treni “con trenord a Expo Milano 2015, oltre 380 treni al giorno ti portano a Expo” invita a una riflessione abbastanza letterale sulle parole, ti portano a Expo e poi ti lasciano lì?
Sembrerebbe di sì quando un sabato sera hanno cancellato l’ultimo treno per Chiasso, il passante S11 delle 00.21. Persone stanche dopo l’intera giornata all’aperto e al caldo, molti lavoratori tra l’altro, e il personale trenord che ha lasciato gli uffici del mezzanino dei treni alle 23.30. La collega di Expo del punto informazioni (di Expo, non di Trenord) che si ritrova circondata di clienti adirati che non sanno come tornare a casa, ovviamente non è di sua competenza ma a quell’ora Trenord ha chiuso gli sportelli. Non è la prima volta che succede, già visto accadere con un ultimo treno per Torino da stazione Centrale e ultimo treno per Sondrio delle 20.20 posticipato di ore con scuse varie e cancellato quando ormai per chi abita oltre Lecco chiamare qualcuno per farsi venire a prendere riduce di molto la scelta di chi chiamare, oltre le 23. Una cosa assurda poi le coincidenze che si “lasciano andare”: passante per Chiasso entra in stazione a Monza, e si ferma PRIMA della stazione 2 minuti, lasciando partire il treno per Tirano da Milano Centrale. Una genialata, tra i due treni ci sono 6 minuti per la coincidenza, Monza è una stazione piccola e sarebbe fattibilissima soprattutto in un orario non di punta ma non è chiaramente fattibile se il Tirano in transito supera il passante fermo nella stazione di Sesto, e quando ancora mancano 2 minuti all’orario della coincidenza si ferma in mezzo al nulla.

Notare poi il buffo cartello presente in Stazione Centrale che invita chi è diretto a Expo a fare una fermata di metro e prendere il passante … da Centrale ci sono minimo 3 treni all’ora diretti a Expo ma chiaramente la maggior parte dei treni per Centrale sono freccia bianca o freccia rossa quindi costerebbero di più, non sia mai che si possa invitare i clienti a salire su dei treni per fighetti e arrivare a Expo potenzialmente in 10-15 minuti, meglio incasinargli la vita che pensare a una tariffa unica per tutti da Milano a Expo con un biglietto valido per tutti i mezzi che possono raggiungere il sito espositivo. Troppo complicato. Come troppo complicato non sopprimere i treni a caso, o mettere degli orari che siano un minimo rispettabili. Chi va in zona Bergamo dopo le 23 da Expo, ha una sola opzione il passante per Pioltello e poi da lì il treno per Bergamo, con 6 minuti di coincidenza. Pioltello è una piccola stazione, ma un ritardo di 6 minuti è frequentissimo. Morale della favola innumerevoli colleghe si sono dovute far venire a prendere a Pioltello nel pieno della notte o rinunciare al trasporto pubblico scegliendo l’auto con conseguente aumento dei costi per raggiungere il luogo di lavoro.
Per non parlare della linea per Malpensa, da Expo a Malpensa l’app di trenord suggerisce sempre di passare per Porta Garibaldi, quasi mai per altre stazioni e in ogni caso non valuta mai passaggi da Busto Arsizio Nord o Lonate Pozzolo che sono in linea d’aria molto più vicino a Malpensa, per cui se uno si trova all’ultimo a pochi minuti dal check in senza navetta almeno può pagare un taxi senza fare un mutuo. L’idea di programmare una navetta da Expo a Malpensa per tutta la sera non è venuta in mente a nessuno evidentemente.
Con profondo imbarazzo mi trovo ogni volta che un cliente chiede una soluzione per raggiungere Malpensa dopo le 19.30 (dopo quell’ora niente più navette da Expo) a cercare soluzioni al di fuori dell’app di Trenord perché mandare una persona in Garibaldi, conoscendo la stazione, sapendo che sono 3 piani e che il personale non è presente e reperibile né parla inglese, lo trovo un invito a spingere il cliente a svenarsi per arricchire la lobby dei taxisti.
Ora vi racconto una serata alla stazione di Rho Fiera Expo, quella di giovedì 23 luglio, uscita dal luogo di lavoro alle ore 21. Un film di Fantozzi praticamente. Mi reco al binario 4, aspettando il passante per Chiasso delle 21.21. Il passante non arriva, nessun annuncio di ritardo, nessuna scritta sul monitor che lo dà cancellato. Il treno non arriva, sullo stesso binario arriva uno per Centrale. Chiedo al personale in banchina. Non sanno nulla, non hanno ricevuto comunicazioni. Alle 21.28 arriva al binario due un passante per Pioltello, non annunciato all’altoparlante. Dovendo cambiare in Garibaldi, corro al binario due insieme a un po’ di persone che come me realizzano che quello è il primo treno possibile per Garibaldi. Il tutto senza nessun aiuto del personale perché nessuno ha comunicato che quello che è il primo possibile per Garibaldi. Arrivata al binario 2 il treno chiude le porte e se ne va, il personale al binario 2 non si scusa per il ritardo, non fa nulla per far salire i passeggeri sul treno nonostante per qualche secondo il treno fosse ancora fermo. Chiedo spiegazioni sul mancato annuncio all’altoparlante dei treni, dicono che non è loro la responsabilità. Giustamente gli annunci non li fanno loro, e non avranno strumenti per criticare i colleghi che stanno seduti in ufficio probabilmente sono lì solo i 6 mesi di Expo non conviene, non ho dubbi su questo. Torno al binario 4 in attesa del Chiasso, dopo qualche minuto che non arriva e non ci sono comunicazioni la persona in banchina non sapendo come rispondere alle richieste dei passeggeri spazientiti telefona nella stazione di partenza del treno dove gli comunicano che il treno non è mai neanche arrivato da Chiasso all’andata e sarà cancellato (Quando?) Alle 21.38 arriva un passante per Rogoredo, ovviamente non annunciato, al binario 2. Ho dovuto personalmente invitare la persona al binario 4 a far fermare il treno per permettere a chi doveva andare in Porta Garibaldi di spostarsi di binario, un po’ di persone correndo riescono a spostarsi. Il treno arriva in Garibaldi alle 21.52 ma il treno per Lecco che avrei dovuto prendere parte a quell’ora esatta a Garibaldi superficie e dal sotterraneo sono 5-6 minuto di transito, a quel punto rimango sul passante per Rogoredo, scendo a Repubblica e faccio una fermata di metropolitana fino a Centrale. Meno male che ho pensato di fare la tessera IO Viaggio così da poter usare anche la metro in caso di necessità, altrimenti avrei pure dovuto pagare il biglietto extra. In centrale danno un treno per Tirano in ritardo che doveva essere alle 20.20, prima in ritardo di 120 minuti, poi subito dopo di 160. Il Lecco arriva in ritardo parte alle 23.10 invece che alle 22.52, in sostanza 3 ore abbondanti per tornare a casa.
Come questa mille altre sere, e un servizio che mi chiedo se sia un servizio o un ostacolo da superare per riuscire ad arrivare sul posto di lavoro in orario, o alla possibilità di tornare a casa in un tempo che non sia la metà delle proprie ore lavorative, che non ha molto senso come qualità della vita. In un Paese normale, un ritardo porterebbe al rimborso almeno parziale del biglietto del treno. Trenord non solo non rimborsa i biglietti, ma non fa neppure gli sconti sugli abbonamenti del mese successivo, come comunicatomi oggi in stazione: non hanno ricevuto comunicazione di nessun bonus ma comunque la IO Viaggio non la rimborsano mai. Ah bello. Io pago 107 € al mese per garantirmi un servizio che mi permetta di raggiungere il posto di lavoro (supponendo poi anche di dover tornare a casa) con qualunque mezzo possibile e prima scopro che sull'alta velocità in teoria non si potrebbe andare con questo abbonamento, poi pure che non può essere rimborsato (?). Cosa servono per un rimborso le foto di tutti i tabelloni con i treni cancellati, giorno dopo giorno? Ce le ho. O un feedback costante sulla mancanza di aria condizionata nelle carrozze oppure, come è successo ieri mattina, la mancanza di luce nelle carrozze lasciando i passeggeri completamente al buio nei tratti in galleria?

Intanto, dopo aver scelto l'auto per il mese di agosto per raggiungere il luogo di lavoro, ho sottoscritto questa petizione su change.org iniziata 9 mesi fa da un ragazzo di Brescia stanco dei continui disservizi.  Vi invito a fare altrettanto, e a segnalare ogni singolo problema su Twitter a #trenord in modo da rendere visibile ciò che non funziona offrendo così un'opportunità a chi ha la possibilità di migliorare il servizio, se vuole, di migliorarlo.

giovedì 9 luglio 2015

Il no della Grecia non è una sconfitta per l'Europa



Dire no alle condizioni imposte da altri non è dire no alla coesistenza. Piuttosto si tratta di un’occasione per rivedere i rapporti di forza e il concetto stesso di democrazia europea. In direzione di più Europa, e non di meno Europa, ma di un’Europa che sia più comprensiva e più inclusiva. In direzione di una valorizzazione o quanto meno accettazione della differenza dell’altro, che non è omologazione né imposizione. Un’occasione per portare in Europa la cultura mediterranea in modo diverso.
Se una persona qualunque acquista un’auto a rate, poi un televisore a rate, poi risultando ancora moroso delle rate dei primi due prende anche un telefono a rate … ma se arriva qualcuno e gli propone - fingendo di aiutarlo a uscire dalla situazione - di sottoscrivere un mutuo, un eventuale rifiuto è un dire no al presunto "aiuto" o un segno di intelligenza? Nessuna banca proporrebbe un mutuo senza requisiti, lo farebbe al massimo un usuraio.
Spesso in Italia dalla Lombardia guardiamo alla Sicilia o ad altre regioni del Sud come una zavorra, come una specie di peso per cui o diventano come noi o danno solo fastidio. Nel nostro piccolo, lo facciamo anche con i vicini di casa. Il vicino che per mesi, anni se non decenni continua a portare avanti le stesse richieste premendo perché tutti vogliano quello che lui vuole, nel modo in cui lui lo vuole. Chi non ha un vicino così. Il vicino che siccome ha i bimbi piccoli pretende di fare una petizione per far fare meno rumore al bar sotto casa, ma ai giovani del palazzo il bar sottocasa fa comodo perché fornisce birre a due metri, e non hanno quindi nessuna intenzione di andare a causare fastidi al bar. La scelta di pace non consiste nel convincere il vicino dei benefici del bar se questo non ne vuole sapere ma semplicemente di rispettare la differenza dell’altro e lasciarlo essere quello che è. Il lavoratore di Milano che siccome ha fatto dei suoi straordinari e del suo lavoro 15 ore al giorno uno status symbol, schifa la rete sociale che si crea in altre aree d’Italia intorno a persone che lavorano meno ma si aiutano di più.Vorrebbe le casalinghe siciliane e le famiglie piene di ragazzi disoccupati come prova di una presunta superiorità delle proprie scelte di vita. Questo non implica che si possa cambiare la forma mentis delle persone in modo improvviso e repentino, né che farlo sarebbe un bene. Anzi.
E’ bello essere diversi. E’ bello cercare punti di incontro, se da entrambe le parti siano essi vicini di casa, comuni limitrofi, regioni più o meno distanti, si cerca di mediare, di vedere cosa si può prendere di buono dall’altro. Ma per fare ciò bisogno sedersi al tavolo della trattativa e essere disposti a lasciare andare qualcosa di propria, qualcuna delle proprie convinzioni o presunte esigenze non negoziabili. E non sempre questo è possibile. Quando non è possibile, si può coesistere in pace. La pace come scelta, senza imposizioni, di rimanere vicini di casa, parte di una comunità, di un territorio, con un tacito accordo di non belligeranza verso il diverso.
Ecco la Germania non si è mai seduta al tavolo della trattativa mettendo da parte i pregiudizi o in modo non giudicante. Pensa a delle riforme strutturali per la Grecia, quello che in Italia non siamo riusciti a fare tra nord e sud in 150 anni, cioè a cambiare l’altro trasformandolo in sé. Il modo migliore per far sì che l’altro metta una barriera invalicabile, un muro, una difesa arroccandosi in posizioni estreme per sottolineare la sua differenza culturale. O si cambia tutti insieme, o ci si accetta per quello che si è imparando dalle reciproche differenze, da quello che l’altro ha da insegnarci. La Grecia ci ha insegnato la democrazia e la filosofia da 2500 anni, ha un patrimonio artistico, archeologico e turistico-ambientale che può essere accolto per quello che è come parte del patrimonio europeo in quanto culla dell’Europa.
Un popolo come questo può ovviamente sedersi al tavolo da pari. Tra l’altro ricordando che per non offendere più l’orgoglio tedesco furono condonati i debiti della seconda guerra mondiale … qualunque popolo potrebbe sedersi al tavolo alla pari. Con questo referendum Tsipras ha avuto adeguata legittimazione popolare per parlare a nome del suo popolo, e non sembrare un illusionario capriccioso. Una nuova visione dell’Europa e del Mediterraneo sta prendendo forma, la speranza è che vada in direzione di più pluralismo e più capacità di accogliere il diverso. Il diverso non è solo l’altro che arriva da fuori, da lontano, ma è anche ciascuno di noi all’interno della stessa comunità europea che agli occhi di un altro cittadino risulta differente in qualcosa: nel modo di lavorare, di rispettare le regole, di organizzare uno stato. Come all’interno di una comunità anche piccola l’accettazione del diverso non deve forzatamente diventare apprezzamento né acquisizione dei comportamenti dell’altro, ma può trasformarsi in una sana coesistenza. Coesistere come europei come base per coesistere come cittadini del mondo, al di là di confini, cittadinanze, prestiti più o meno graditi.  

mercoledì 8 luglio 2015

La riforma della scuola: un'inversione di rotta per il Paese

Riporto l'intervento in aula di ieri dell'on. Roberto Rampi sulla riforma della scuola in fase di approvazione.






"Questa sera di luglio pensando a questo intervento non ho potuto non tornare a quando sono entrato per la prima volta in questa Aula e ho pensato se potevo portare insieme ai colleghi un piccolo contributo che lasciasse un segno nella storia di questo Paese, perché quando si entra qua dentro bisogna unire umiltà e ambizione, altrimenti non ha senso provare a fare questo mestiere. Ho conosciuto nella Commissione Cultura della Camera dei deputati dei colleghi e delle colleghe, che sono qua vicino a me, che nella scuola hanno veramente messo in gioco tutta la loro vita e che hanno sognato qualche anno fa, con quella riforma della scuola e dell'autonomia che Luigi Berlinguer ha voluto portare avanti fermandosi poi un po’ a metà, e sono cresciute professionalmente pensando davvero di cambiare il modello educativo del nostro Paese, di ereditare una scuola nazionale, una scuola delle élite, una scuola – uso una vecchia parola – un po’ classista e molto teorica e di trasformarla in una scuola delle competenze, in una scuola che provasse il più possibile ad avvicinarsi ad ogni alunno e a dare ad ogni alunno ciò di cui aveva bisogno.
  Vede Presidente, questo è un dibattito che si è fatto poco in queste lunghe, a mio parere, discussioni, ma la percezione del tempo a volte è diversa in ognuno di noi. In fondo noi stiamo riflettendo di scuola, e io credo che questo sia un grande risultato, da quasi un anno, perché di questa legge si è iniziato a parlare, anche pubblicamente, nell'agosto scorso. Dai contenuti, dalle discussioni, quei colleghi e quelle colleghe che citavo li ricordo, ci trovavamo ad essere riuniti in una sala per iniziare a mettere insieme i primi ragionamenti. Ebbene, nell'autunno scorso li abbiamo portati in tante città, in tante scuole, in tanti circoli, del PD nel nostro caso, perché noi apparteniamo al Partito Democratico, ma credo che la stessa cosa l'abbiano fatta altre forze di maggioranza, Scelta civica, Area Popolare per l'Italia ad esempio. Dentro questo ragionamento, dentro questo percorso, abbiamo provato a disegnare con la concretezza una inversione di rotta, perché di questo si tratta. Io credo che la scelta di investire le risorse a disposizione del Governo, che non sono infinite, anzi sono finite e sappiamo appartengono ad un'epoca particolarmente scarsa e avara di risorse, proprio nella scuola e non altrove io credo sia il segno che più di altri connota a sinistra, nel campo del centrosinistra l'azione di questo Governo. Ce lo diranno però i voti che avremo tra pochi giorni. Ecco questo forse è uno dei pochi dati oggettivi, perché questa riforma la destra non la voterà e quindi chi dice che questa riforma è di destra in qualche modo deve prendere atto di un dato di cronaca: non la voterà Forza Italia, non la voteranno Fratelli d'Italia, che abbiamo sentito intervenire e che la combattono duramente, non la voterà il MoVimento 5 Stelle, che quando è entrato in questa Aula voleva sedersi in maniera trasversale e però poi al Parlamento europeo una scelta di campo l'ha dovuta fare. È il campo delle destre, destre plurali e guardi Presidente, lo dico con grande rispetto, perché io credo nel pluralismo politico e credo che tutti i campi abbiano la loro dignità e la loro azione, ma queste forze non la voteranno. E non la voterà una forza indubbiamente di sinistra come Sinistra Ecologia e Libertà e anche alcuni colleghi deputati che sono entrati in questa Aula con il Partito Democratico e hanno fatto scelte diverse. Io non credo che questo sia un dramma, credo che nella storia della sinistra italiana vi siano da sempre connotazioni differenti.
Credo che se noi avessimo provato a concentrare questo dibattito nel suo cuore, che è quello della scuola dell'autonomia e della nostra capacità o meno di provare a dare gli strumenti concreti, reali e possibili per realizzare la scuola dell'autonomia, quella appunto della riforma Berlinguer di cui parlavamo prima, avremmo capito che su questo ci dividiamo perché non è stato detto qui in maniera esplicita ma ascoltando lungo questi mesi in maniera sistematica i veri nodi su cui noi ci confrontiamo.
Io credo che il nodo sia quello: c’è un'idea di una scuola nazionale, universale che deve essere uguale per tutti e che pensa che nello stesso momento, alla stessa ora, si realizza la stessa lezione con la stessa materia, con lo stesso contenuto, decisa centralmente, in ogni parte d'Italia, indipendentemente dagli studenti che abbiamo davanti, indipendentemente dal luogo in cui questa scuola è collocata, indipendentemente dalle relazioni con quel territorio; e c’è una scuola, quella appunto iniziata con quella riforma, che pensa che per raggiungere un obiettivo universale, che è quello della crescita individuale, che è quello dell'introduzione della mobilità sociale, che è innanzitutto culturale nei cittadini, deve tendere a realizzare una scuola, se possibile, diversa per ogni alunno. E per realizzare questa scuola diversa per ogni alunno, per dare a ciascuno quello di cui ha realmente bisogno, crede di realizzarla nell'autonomia. Crede nella possibilità, nella capacità che la comunità educante, che è la comunità che si crea attorno alle nostre scuole, quella comunità che è fatta di docenti, di genitori, di studenti, anche quelli più piccoli possono essere coinvolti nel progettare la loro scuola – esistono dei progetti straordinari, sperimentali che ho imparato in questo anno da alcuni miei colleghi – e, soprattutto quelli più grandi, quelli che hanno già una capacità attiva di partecipare all'elaborazione pedagogica; e poi esiste la comunità più larga: il villaggio, la città, il paese che sta attorno a loro, le realtà produttive. Tutte queste realtà possono in qualche modo contribuire a costruire quella scuola. Come si fa a realizzare questo. Innanzitutto, c’è voluta un'inversione di tendenza nelle risorse. Qui, noi crediamo, sia stata fatta la scelta più importante: nel passato ci sono stati tagli, 8 miliardi di tagli, 85 mila posti tagliati. Oggi ci sono gli investimenti: 3 miliardi che andranno a regime; un miliardo nell'anno che rimane; le risorse per l'edilizia scolastica – su questo poi vorrei dire un'ultima questione – e poi i famosi 160 mila posti. Alcuni dicono stabilizzazioni, alcuni dicono docenti che c'erano già, alcuni dicono meno di quelli di cui ci sarebbe bisogno. Discutiamone, quello che è certo è che noi dal 1o di settembre avremo circa 48 mila insegnanti che stabilmente dal primo giorno di lavoro staranno con i loro studenti. Questa è una differenza significativa. Quante volte abbiamo detto che la continuità didattica fa la differenza. Quante volte abbiamo detto, nell'esperienza quotidiana della scuola, che cambiare due-tre volte durante l'anno insegnante è uno dei danni maggiori che produce espulsione dalla scuola e che colpisce soprattutto gli studenti che hanno più difficoltà, quelli che hanno meno risorse familiari, hanno meno capacità di reagire a questa perdita che è rappresentata dal continuo cambio di insegnante.
  Poi ci saranno i 52 mila che, per la scelta che ha fatto il Senato, entreranno formalmente dal 1o settembre ma in realtà in cattedra durante l'anno. Quindi, dando a questo anno, a questa più scelta più significativa che ha fatto il Senato, che io condivido, un anno di organizzazione, di sperimentazione, di verifica e di attuazione (anche su questo vorrei dire un'ultima cosa). E poi ci sarà finalmente il concorso dei 60 mila; un concorso che noi riteniamo dovrà essere fatto in maniera innovativa, tentando di fare tesoro di tutto quello che quelle persone, che pensiamo di andare ad assumere definitivamente, in questi anni di insegnamento, di abilitazione, hanno costruito nel loro percorso, perché non arrivano dal nulla, arrivano alcuni da un lungo cammino nella scuola e verso la scuola. Tutto questo è un lavoro articolato, complesso e noi crediamo che l'inizio di questo percorso sia quello che avverrà domani, dopodomani, nelle prossime ore. Io non credo che quello che va in scena in quest'aula sia un epilogo. Io credo che quello che va in scena in quest'aula sia un inizio, l'inizio di un cambiamento nella scuola, l'inizio di un'inversione di tendenza.
Ma quando dico «inizio» dico anche la chiamata, per tutti noi, a lavorare molto nei prossimi mesi con la scuola, a provare a ricostruire le fratture, a sanare le ferite, a provare a dimostrare che le paure... le paure sono sempre legittime, perché le paure fanno parte della vita e fa parte della natura umana avere paura e, in particolare, avere paura di quello che non si conosce. Però, la capacità, in particolare della politica, è di ascoltare le paure e di provare a dare una mano a superare le paure.
  Noi in questi mesi, tutti noi, siamo stati tante volte in dialogo con tanti insegnanti. A me l'ultima volta è capitata ieri sera, attorno alle 23. Ero a una festa democratica, ero lì con due insegnanti e parlavamo di quello che avremmo detto questa sera e di quello che avremmo fatto in queste ore. Ci sono tante informazioni diverse che sono girate in questi mesi. Gli insegnanti non si devono guardare da lontano ma si deve provare ad andarci a parlare, a guardarli negli occhi. Questo ci è capitato di farlo recentemente nella manifestazione del Pantheon, ma ci è capitato tante volte di farlo in questi mesi. Ebbene, ci si accorge che molti di loro conoscono bene quanto è stato scritto su questa riforma, hanno delle esigenze precise, anche di natura salariale, che sono sacrosante, perché sappiamo qual è la condizione degli insegnanti in Italia.
Ma non è vero quello che viene raccontato, cioè che gli insegnanti italiani sono contro questa riforma, anche perché dentro quest'Aula almeno dovremmo imparare tutti a dirci che esistono le opinioni diverse e che negli insegnanti italiani, come in ognuno di noi, nessuno ha una certezza, nessuno porta in tasca la verità e ci sono una pluralità di posizioni. Ci sono degli insegnanti che hanno scioperato che noi guardiamo non solo con rispetto ma anche con una certa ammirazione, perché chi combatte per le sue idee, per le sue convinzioni, non può sempre che essere guardato con simpatia. Però, ci sono insegnanti che hanno scioperato – e ce lo hanno detto – perché ritenevano giusto migliorare alcuni punti della riforma; ce ne sono altri che hanno scioperato perché non condividevano niente e ce ne sono molti altri che hanno scioperato perché ritenevano che per loro il punto fondamentale fosse quello di riaprire una contrattazione sindacale (e questo è poi quello che il sindacato deve fare, è quello il suo compito).
Noi, invece, dobbiamo fare i legislatori, dobbiamo provare ad essere classe dirigente e a dare gli strumenti normativi per attuare, finalmente, appunto quella scuola dell'autonomia. Allora, è questo percorso di accompagnamento che noi andremo a costruire e nei prossimi mesi noi dovremo avere anche la capacità di farlo. Io credo che avremo questa capacità, perché ho conosciuto personalmente chi, appunto, dopo avere dedicato la vita alla scuola, nella scuola, sui banchi di scuola, nei diversi ruoli della scuola ha portato avanti questa riforma. Noi dovremo avere la capacità di ascoltare il ritorno delle norme che avremo creato, di seguire con attenzione i decreti attuativi, di seguire con attenzione le deleghe importanti che sono contenute in queste norme di legge e di provare ad accompagnare questa realizzazione per fare in modo che funzioni nel modo migliore.
  Se tutto questo è vero – ed è chiaro che ognuno di noi uscirà da qui probabilmente con le proprie convinzioni – io penso che però il tempo, come si dice, sarà galantuomo e noi ci rincontreremo nei prossimi anni, ci rincontreremo con quegli insegnanti e ci incontreremo soprattutto con quei bambini che, diventati grandi, avranno provato a vivere in una scuola diversa, magari in una scuola in cui ci sono meno ragazzini in una classe di quelli che ci sono oggi, magari in una scuola diversa anche come struttura.
Avevo detto che volevo tornare solo un momento, Presidente, sull'edilizia scolastica per dire questo: noi certo dobbiamo riparare le scuole italiane, dobbiamo intervenire sull'emergenza; però, dobbiamo anche iniziare – e nel provvedimento questo è contenuto – a pensare anche a delle scuole nuove, fatte in maniera differente, perché la didattica frontale è superata, perché le scuole come edifici disegnano anche il modello di società e di scuola che tu vuoi realizzare e le scuole che conosciamo noi, che sono molto spesso il primo impatto con lo Stato che un bambino ha, non sono sicuramente un segno del futuro e dell'avvenire.
Io ci pensavo in questo fine settimana: anni fa, negli anni Quaranta, negli anni Trenta, negli anni Cinquanta, una famiglia povera, un bambino di una famiglia povera viveva in una casa umile, dove c'erano magari due stanze in cui si viveva tutti, dove non c'era il bagno in casa e quando andava a scuola andava in un luogo molto migliore di quello da cui usciva al mattino. Oggi molto spesso i nostri ragazzi, quando vanno a scuola, vanno in un luogo molto peggiore rispetto a quello da cui escono di casa al mattino. Questo è un grande problema, perché anche il luogo in cui tu entri, anche l'edificio in cui tu entri, costruisce una parte del fascino e dell'idea di futuro che tu vuoi creare.
Questo Paese ha affrontato negli ultimi anni tante delusioni e la politica ha dato a questo Paese molte delusioni. Io credo che parte del problema che noi abbiamo da affrontare sia questo: ci sono troppe persone che ormai non ci credono più. Io rispetto tutti coloro che credono alle loro idee, ho grande ammirazione per chi in questa Aula la pensa diversamente da me e combatte contro questa norma perché ci crede veramente, se il suo pensiero è autentico, se non è soffiare sul fuoco della protesta solo per utilizzare un facile consenso. Noi crediamo profondamente al nostro progetto educativo che con questa legge inizia a realizzarsi e l'impegno del Partito Democratico, in particolare, e di questa maggioranza di Governo sarà quello di andare fino in fondo insieme agli insegnanti, insieme agli studenti, insieme ai genitori, per realizzare una scuola nuova dell'autonomia, che accompagni i ragazzi, che li aiuti ad essere sempre più cittadini e uomini del futuro e migliori."