mercoledì 30 novembre 2016

Tutela del pluralismo e futuro dell’informazione: convegno nazionale a Forlì

Venerdì 2 dicembre convegno nazionale a Forlì: iniziativa organizzata da Legacoop Romagna e Mediacoop: appuntamento alle 14.30 a Palazzo Romagnoli. 
Legacoop Romagna e Mediacoop – l’associazione nazionale delle cooperative giornalistiche e della comunicazione di Legacoop – organizzano un’iniziativa per fare il punto sulle numerose novità che attraversano la filiera dei media, dalla riforma nazionale approvata poche settimane fa fino alla nascente legge regionale per il sostegno all’editoria locale. L’appuntamento è venerdì 2 dicembre, alle 14.30, a Palazzo Romagnoli, in via Albicini 12 a Forlì, per il convegno “Tutela del pluralismo e futuro dell’informazione”.

L’analisi di contesto sarà a cura di Pier Luca Santoro, uno dei più importanti consulenti italiani del comparto editoriale, fondatore dell’osservatorio DataMediaHub ed esperto di marketing. Ospiti della giornata il deputato e filosofo vimercatese Roberto Rampi – relatore alla Camera della legge 198 del 2016, che ha istituito il Fondo per il pluralismo e riorganizzato profondamente il settore in un’ottica di promozione dell’innovazione e della qualità del lavoro – e il consigliere regionale Giorgio Pruccoli, primo firmatario del progetto di legge regionale sull’editoria.
Sul palco si alterneranno alcuni dei protagonisti dell’informazione romagnola: il responsabile dell’edizione forlivese del Resto del Carlino, Marco Bilancioni, il presidente del Corriere Romagna, Luca Pavarotti,, l’editore di Ravennanotizie.it, Nevio Ronconi, e il direttore del settimanale SettesereQui, Manuel Poletti.
Per le istituzioni interverranno tra gli altri il sindaco di Forlì e la consigliera regionale Valentina Ravaioli, il consigliere nazionale dell’Ordine dei Giornalisti, Michelangelo Bucci, e il senatore Stefano Collina, componente della commissione Affari Costituzionali. Introdurranno il tema per Legacoop Romagna il direttore generale Mario Mazzotti, e il responsabile Media e Comunicazione Emilio Gelosi. Le conclusioni saranno a cura del presidente nazionale di Mediacoop, Roberto Calari.
"L’approvazione definitiva della riforma dell’editoria, dopo un percorso legislativo durato quasi due anni, è un risultato importantissimo per il pluralismo dell’informazione e per un settore che, nonostante una profonda crisi strutturale, continua a dare lavoro all’interno delle cooperative associate a Legacoop Romagna a circa 150 persone, tra giornalisti, poligrafici, collaboratori e personale amministrativo - dice il presidente di Legacoop Romagna, Guglielmo Russo, che presiederà i lavori - La Romagna si è spesa con grande impegno per questo obiettivo, ma rimangono da sciogliere nodi importanti, come la stesura dei decreti delegati".
Al termine del convegno è prevista una visita guidata alla collezione Verzocchi di Palazzo Romagnoli, condotta dal responsabile Cultura di Legacoop Romagna, Gabriele Zelli, seguita da un sobrio rinfresco.
Per informazioni e conferme di partecipazione: tel. 0543 785410 – forli@legacoopromagna.it

sabato 26 novembre 2016

Il mio ricordo di Cuba


Il mio ricordo di Cuba: 2008, un bellissimo viaggio in solitaria fatto di scoperte, colori vivi, incontri, profumi e sapori nuovi. Il mojito con la menta fresca me lo ricordo ancora. Ho trovato un Paese accogliente, con dei mezzi di trasporto efficienti e persone aperte, solari, vive e con la musica e la salsa nel cuore. In alcune città una povertà dignitosa e mai di elemosina, e una percezione di sicurezza e di voglia delle persone di raccontarsi, di farsi conoscere, di essere compagni di viaggio. 
Un viaggio che è rimasto tra i miei ricordi migliori: a un Paese incantevole, spero che il futuro vi porti solo pace e libertà.


venerdì 25 novembre 2016

Giornata mondiale contro la violenza sulle donne


Oggi, 25 novembre, è la giornata mondiale per l'eliminazione della violenza contro le donne. Un problema che riguarda l'intero pianeta e che in alcuni paesi anche europei come l'Italia non riceve abbastanza attenzione e non viene spesso considerato un fenomeno di cui la società tutta si deve occupare. C'è un grande problema culturale nel nostro Paese, che va risolto partendo dal sistema educativo. con la consapevolezza che la "famiglia tradizionale" è ancora oggi osannata dalla chiesa come una scelta, una sorta di merito, e che siamo davvero indietro rispetto agli altri paesi europei. Sicuramente la scuola può tanto in questo senso e portare avanti una seria e motivata educazione alla parità di genere è fondamentale per avere un'inversione di tendenza nel medio-lungo periodo. Partendo dalle bambine, dalle ragazzine, dal coltivare i loro sogni e insegnare loro che possono essere ambiziose ed indipendenti come i ragazzi, ma partendo anche e soprattutto dagli bambini, ragazzi, futuri uomini: è lì che si gioca la partita decisiva. Nel crescerli senza stereotipi di genere, nell'aiutarli ad essere indipendenti e a imparare a gestire la propria casa, il proprio abbigliamento e a procurarsi del cibo con la consapevolezza che l'eventuale rete sociale a supporto per farlo non è dovuta ma che le cose semplici della vita possono essere gestite in autonomia. Nel non spingerli a essere "il più forte" o "il più bullo" ma a coltivare la propria intelligenza. E nell'insegnare loro, a partire dal linguaggio, che non esistono "cose da femmina" e "cose da maschio" né nei giochi né nei potenziali lavori futuri ma neanche negli hobby e passatempi. La parità di genere è ancora lontana per il nostro Paese, ma è l'unica strada per superare la violenza e per prevenire il femminicidio perché dalla consapevolezza che l'altro/a è in tutto e per tutto come noi e in possesso degli stessi diritti e delle stesse libertà nasce la capacità di rispettare la donna e quindi non arrivare a commettere violenza. 

martedì 22 novembre 2016

La cultura occidentale è costruita sulla mitologia della violenza maschile contro le donne

"La cultura occidentale è costruita sulla mitologia della violenza maschile contro le donne. Dobbiamo esserne coscienti per accrescere la nostra consapevolezza: riconosciamolo, affrontiamolo e cerchiamo di superarlo."

Le parole della professoressa Mary Beard della University of Cambridge, durante la sua lectio magistralis in occasione dell'evento "Safe from fear, safe from violence", a tre anni dalla ratifica da parte dell'Italia della #ConvenzioneIstanbul.

La Convenzione di Istanbul è stata approvata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa il 7 aprile 2011 ed aperta alla firma l'11 maggio 2011. Si propone di prevenire la violenza contro le donne e la violenza domestica, favorire la protezione delle vittime ed impedire l'impunità dei colpevoli. È stata firmata da 32 Paesi e il 12 marzo 2012 la Turchia è diventata il primo Paese a ratificarla.
In Italia, la Camera ha approvato all'unanimità la ratifica della Convenzione il 28 maggio 2013 e sempre all'unanimità il Senato ha convertito il testo in legge il 19 giugno 2013.
Hanno partecipato oggi all'incontro, fra gli altri, la Presidente Laura Boldrini, la Ministra per le Riforme e i Rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi e il Presidente della delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa Michele Nicoletti.
Il video completo dell'incontro di oggi: 


lunedì 21 novembre 2016

La Brianza che crede al cambiamento

Sono state settimane intense tra le persone, in strada a parlare con gli interessati, i curiosi, i critici. A meno di due settimane dal voto, continuiamo la nostra attività sul territorio per spiegare i contenuti della #RiformaCostituzionale su cui andremo ad esprimerci il #4dicembre: parlando con le persone semplici, entrando nel merito dei contenuti, distribuendo materiali informativi. I comitati del Sì saranno presenti anche questo weekend nelle piazze e nelle vie dei nostri paesi per parlare con tutti voi, discutere, approfondire. Perché la scelta di cambiare l'Italia è nelle mani di ognuno di noi e non vogliamo sprecare questa opportunità di rinnovare il Paese e di guardare al futuro.
#bastaunsì, il tuo.


Una panchina per non dimenticare

Venerdì 25 novembre venite all'inaugurazione della panchina rossa a Monza ! 

L’Associazione AAD – ArcoDonna ha tra le proprie finalità la promozione delle pari opportunità e la lotta contro ogni forma di discriminazione e violenza contro le donne, da perseguire anche con atti di sensibilizzazione rivolti alla Cittadinanza.

In occasione della giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne , 25 novembre 2016, abbiamo realizzato, con il patrocinio del Comune di Monza, “una panchina rossa per non dimenticare”.
L’iniziativa nasce da una collaborazione tra donne della società civile che vogliono non solo denunciare il femminicidio ma stimolare una riflessione sulla violenza e sui cambiamenti culturali necessari per sconfiggerla.
La panchina rossa di via Gerardo dei Tintori a Monza speriamo induca i cittadini e le cittadine a fermarsi, a riflettere e a non dimenticare, perché i cambiamenti culturali sono possibili solo con l’impegno costante di tutti.

domenica 20 novembre 2016

La moratoria della pena di morte in Africa: intervista a Roberto Rampi sulla missione di Nessuno tocchi Caino nel Regno dello Swaziland nell'Africa del Sud


L'intervista di Radio Radicale a Roberto Rampi sulla missione di Nessuno Tocchi Caino in Swaziland: potete riascoltarla qui. 

G: Con Roberto Rampi del Partito Democratico parliamo della missione che Nessuno Tocchi Caino ha appena terminato in Africa nell’ambito di una serie di incontri che Nessuno Tocchi Caino ha avuto per la prossima sessione diritti umani nella quale appunto ci sarà il voto per la moratoria delle esecuzioni capitali. Non è la prima volta che si vota, questo voto avviene ogni due anni, e l’on. Rampi ha raggiunto la delegazione di Nessuno Tocchi Caino nello Swaziland. Come è andata?

R: Direi che è andata molto bene. Il primo punto è questo: sia nella mia iscrizione al Partito Radicale Transnazionale che a quella a Nessuno Tocchi Caino c’è la convinzione profonda del progetto di Nessuno Tocchi Caino della moratoria, che è un atteggiamento anche culturale importante verso il mondo, cioè non è l’atteggiamento illuminista neocoloniale di andare a insegnare noi Europei chissà quali princìpi etici che poi, come dire, bisognerebbe valutare anche come li attuiamo noi. E’ l’idea invece di provare a prendere atto di cose che succedono già: prendiamo questo esempio dell’Africa, un Paese come lo Swaziland, un piccolo Paese dentro al Sudafrica, poco noto, di cui se si fa una ricerca in rete si leggono cose che sono assolutamente lontane dagli aspetti più interessanti, e che però dal 1983 di fatto ha portato avanti liberamente e non per pressioni esterne, non per interventi occidentali, una moratoria: cioè ha deciso che nel suo Paese non si uccide più. Ha anche convertito tutte le condanne a morte in ergastolo tranne una. Noi abbiamo chiesto al gruppo dirigente politico di questo Paese di prendere atto di questo loro risultato importante che li mette oggettivamente molto avanti rispetto a tanti Paesi considerati più democratici e più illuminati che magari così tanto non lo sono e non solo di votare a favore della moratoria ma di farsi promotori di questa cultura della moratoria. L’Africa ha Paesi profondamente abolizionisti, ha tanti Paesi che hanno in corso la moratoria di fatto. Conviene a tutti noi, a loro e a noi, far conoscere meglio queste cose cioè raccontare anche un mondo che è un po’ diverso da quello che ci viene raccontato, dove c’è un Occidente – l’Europa e gli Stati Uniti – che stanno nel giusto e che hanno la Verità in tasca e poi tutto il resto del mondo che vive in condizioni precarie anche dal punto di vista etico-culturale. Ecco non è così. Noi non siamo andati ad insegnare qualcosa in Africa: siamo andati a dire loro di far conoscere di più quello che hanno già scelto.

G: Che forma di Governo c’è nello Swaziland?

la bandiera dello Swaziland
R: Letta con le nostre regole è una monarchia assoluta, quindi c’è un re, scelto tra l’altro con un meccanismo molto complicato perché diventa erede al trono il figlio maschio che non ha ancora raggiunto la maggiore età e che non ha fratelli. In realtà c’è un ruolo fondamentale – una lettura che andrebbe approfondita – della regina madre, per cui le due figure importanti nel Paese sono la regina madre e il re. Due nomi che usiamo noi, in realtà nella cultura Swazi sono il Leone e l’Elefante Bianco queste due figure. C’è una fortissima presenza delle tradizioni che da oltre 600 anni si portano avanti in questo Paese, tradizioni molto articolate e molto complesse, e poi in realtà c’è una grande modernità: c’è un Parlamento eletto con un meccanismo complesso e articolato, però ho anche incontrato nella missione quello che potremmo definire il capo dell’opposizione, cioè il segretario del Partito Democratico dello Swaziland, un partito che aderisce all’Internazionale socialista, che ha scelto ed è riuscito ad essere eletto ed è diventato presidente della commissione diritti sociali e sta portando avanti delle battaglie con risultati concreti, nuove normative ad esempio sui diritti dei lavoratori; c’è un Parlamento che ha un livello di controllo del bilancio dei ministeri molto avanzato; c’è una norma che viene attuata troppo poco sulla presenza femminile obbligatoria per Costituzione negli eletti in Parlamento, quindi è un Paese dove il tema dell’equilibrio tra la tradizione e la modernità è un tema molto aperto e molto dinamico e che serve secondo me a farci riflettere anche su altre parti del mondo.

G: La pena di morte è in Costituzione?

R: La pena di morte è in Costituzione, una Costituzione peraltro mutuata dall’appartenenza al Commonwealth, quindi non deriva dalla loro cultura ma gli è arrivata da noi dall’Occidente dove sappiamo benissimo che anche alcuni Stati a democrazia molto avanzata come gli Stati Uniti d’America la pena di morte non solo ce l’hanno come possibile, ma la applicano non dico quotidianamente ma quasi. In Swaziland la pena di morte è in Costituzione ma non è applicata dal 1983.

G: E il potere di tramutare la pena di morte in ergastolo ce l’ha il Parlamento o il re?

R: Il potere di tramutare la pena di morte in ergastolo ce l’ha il re, infatti lo ha fatto lui. Il potere di cambiare la Costituzione ce l’avrebbe il Parlamento con un meccanismo di revisione abbastanza complicato. In realtà l’obiettivo di questa missione al momento era molto più semplicemente chiedere – lo  Swaziland nella ultima votazione di due anni fa non ha partecipato al voto, con il significato di non votare contro – noi abbiamo chiesto ai tre ministri che abbiamo incontrato tra cui due principi e al mondo anche dell’associazionismo e della società civile che si sta sviluppando dentro allo Swaziland di lavorare per scegliere invece una posizione più netta nel voto alle Nazioni Unite. Per farsi guida portando anche a una uniformità di tutti quei Paese del sud Africa che invece hanno già votato anche in passato a favore della moratoria.

G: Ci sono delle Organizzazioni Non Governative nello Swaziland che sono favorevoli appunto all’abolizione della pena di morte, in questo caso alla moratoria?

R: Sì, ci sono assolutamente e c’è una società civile che si sta sviluppando molto interessante, naturalmente è molto concentrata nei centri urbani e appartiene in termini numerici a una residua minoranza. C’è una grande differenza tra i centri urbani e le aree rurali anche nel dibattito pubblico. A noi stanno a cuore come Radicali il tema del diritto alla conoscenza e il tema della libertà di informazione: in Swaziland c’è una condizione molto particolare per cui esistono delle riviste di giornali fortemente critiche con il Governo e con il re che riescono ad essere pubblicate tranquillamente, anzi a trovare anche sponsor privati tra agenzie di proprietà dello Stato, quindi evidentemente con un’idea di libertà della discussione avanzata. Questo è molto meno vero ad esempio nelle radio e nelle tv, probabilmente perché c’è la consapevolezza che un conto è il gruppo, la discussione diciamo in certe élite chiuse e un po’ più colte, un conto è il rapporto con la popolazione.

G: Del resto la radio in Africa è il mezzo di comunicazione e di informazione più diffuso.

R: Esatto, e c’è la diretta di tutte le sedute del Parlamento che va per radio. Quindi in qualche modo qualsiasi cittadino Swazi può seguire il dibattito parlamentare che è un dibattito molto acceso, tutt’altro che sopito, non solo per la presenza del leader del partito democratico ma anche di altri parlamentari che non si può dire se siano filogovernativi o meno, non è molto chiaro perché c’è un’elezione diretta ma che sicuramente su alcune scelte di alcuni Ministeri in maniera molto chiara e in diretta radio in Parlamento prendono una posizione molto netta.

G: Chi deciderà come lo Swaziland voterà questa volte alle Nazioni Unite?

R: Allora in ultima analisi dovrebbe deciderlo il re. Il voto alle Nazioni Unite capita ora in un momento strano, perché il re per tradizione nel mese di novembre ha un periodo di ritiro e quindi non partecipa all’attività pubblica. Però noi contiamo sul fatto che intanto alcuni di questi ministri hanno la possibilità comunque di incontrarlo anche se in forma privata e poi c’è un Presidente del Consiglio: proprio in questi giorni gli impegni che si sono presi con noi tra i ministri degli Esteri, della Giustizia e della pianificazione economica è quello di incontrare insieme il Presidente del Consiglio e di chiedere a lui un impegno. Se il Presidente del Consiglio dà mandato all’ambasciatore all’ONU di votare a favore questa cosa si può fare, ovviamente con il placet del re che però da diversi elementi che abbiamo raccolto abbiamo capito che la scelta della moratoria e la scelta della conversione della pena è una scelta che il re ha fatto in maniera del tutto autonoma e senza nessuna spinta, quindi credo che appartenga un po’ alle sue corde.

 nota: alla fine lo Swaziland ha scelto di votare alle Nazioni Unite a sostegno della moratoria alla pena di morte 






domenica 13 novembre 2016

Non analizziamo la sconfitta di Hillary: dobbiamo capire come è nata la vittoria di Trump

All'indomani della vittoria di Trump, occorre porsi delle domande sul ragioni di questo inaspettato successo e sulle ragioni della sconfitta della candidata che tutti davamo per favorita: una donna colta, preparata politicamente, competente in quanto con un'esperienza diretta alla casa bianca di 8 anni come first lady, ex segretaria di Stato e senatrice, con una lunga vita al servizio del suo popolo e una rete di rapporti diplomatici e internazionali costruiti nei decenni. Su come sia stato possibile che il popolo americano abbia in parte detto "non voto perché non c'è un candidato di colore" (la parte degli elettori riportati alle urne solo da Obama e rimasta a casa in queste ultime elezioni), in parte "non voglio una donna presidente" ma soprattutto come sia possibile che la maggior parte degli americani non abbia saputo dire "non voglio un miliardario volgare e ridicolo come presidente". Dunque la donna preparata è un taboo, la volgarità e l'arroganza non lo sono? Possiamo aspettarci un'altra donna che arrivi a rompere il soffitto, magari nel 2020? L'intelligenza, la competenza e l'esperienza non hanno quindi valore nella scelta di chi avrà in mano una parte così consistente del destino mondiale? Per un'ampia parte della popolazione contano il sesso e il colore della pelle, ma non l'intelligenza e la preparazione politica e diplomatica? 
Qui i risultati in percentuale stato per stato
Durante la campagna elettorale, Trump ha lavorato sul concetto di nemico, trovando nemici nell'islam, nei migranti, nella finanza: oggetti facili da essere usati come destinatari della rabbia. Nella storia degli Stati Uniti c'è una predisposizione culturale alla costruzione di una figura di "nemico comune" su cui concentrare le energie per non vedere se stessi e per giustificare la produzione di armi, che si è esplicitata dalla caccia alle streghe al McCarthismo alle più recenti scelte riguardanti l'Iraq. Una cultura diffusa soprattutto in quella parte degli USA che vive lontano dalle grandi metropoli, lontano dalla commistione culturale e dall'intreccio della multietnica New York. Quegli statunitensi che non hanno un passaporto (il 65% degli americani secondo i dati del 2012) perché non hanno mai messo un piede fuori dai confini nazionali, quelli che sentendo le parole di Obama contro Putin non si sono sentiti partecipi: i russi non sono più visti come diversi perché avendo fatto proprio il capitalismo, sono consumatori degli stessi prodotti degli americani. E se c'è un problema con i diritti umani, è in una parte del mondo geograficamente lontana e quindi non sentita: il cittadino statunitense non prova probabilmente empatia per il cittadino di Aleppo, considerato che tiene un'arma in casa per difendere i propri beni materiali dai potenziali ladri. In questo senso forse Obama è stato eccessivo nell'investire tempo in campagna elettorale per criticare la Russia: la Russia era un nemico del passato, ma il nemico era il comunismo come forma di governo e non i russi in quanto tali, che ora essendo parte integrante del mondo occidentale non hanno affatto scaldato gli animi. La lotta per il controllo in medio-oriente tra Obama e Putin non parlava alla pancia, all'istinto di chi deve trovare nell'altro un colpevole dell'abbassamento del proprio tenore di vita. Il nemico comune che ha proposto Trump, da una parte l'Islam, dall'altra l'immigrazione intesa come fenomeno vicino, che coinvolge la propria città e la propria comunità locale imponendole un cambiamento, ha dato una risposta a chi aveva mal digerito l'uguaglianza sentita dai propri concittadini di colore dopo 8 anni con Obama. Le parole di Trump hanno parlato a quella parte del popolo americano che vuole essere "grande" a discapito di chiunque altro perché l'altro è fuori, lontano, diverso e quella parte del popolo non desidera in alcun modo che non lo sia: l'uomo bianco protestante nel corso dei pochi secoli di storia americana si è distinto per aver inseguito il mito calvinista del "ricco benedetto da Dio" e non per il desiderio di considerare uguale a sé tutti gli altri. 
Lo stupore è nato forse dal fatto che si pensava di aver superato culturalmente quel modello anche grazie ad Obama. Che l'elezione di un presidente di colore avesse segnato un cambio di rotta. Invece i dati sull'età, la provenienza geografica e il livello di istruzione degli elettori ci mostrano un uomo bianco, over 45, con un basso livello di istruzione e che vive lontano dalle metropoli che vota repubblicano. 

Grafico dall'account Twitter di Philippe Berry 

Dunque lo stupore possiamo lasciarlo indietro, alla maratona elettorale, al momento del discorso mattutino che pareva più quello di una miss che di un presidente degli Stati Uniti, e cominciare a chiederci se queste persone avessero la preparazione, la volontà, la predisposizione a entrare nel cambiamento in atto e farlo proprio. Se questi cittadini fossero in grado di vedere la complessità della globalizzazione e le sue infinite difficoltà ma anche possibilità, o se non fossero cittadini già predisposti ad un racconto semplificato delle problematiche e per cui non costituissero in effetti un ottimo pubblico per le invettive di Trump contro il "nemico" costruito ad arte per rispondere al bisogno di rassicurazione. Non vi è stata una scelta del meno peggio, come alcuni hanno ipotizzato. Non vi è stata solo una astensione al voto di una parte di coloro che alle primarie avevano votato Sanders (non eccessiva comunque ma concentrata in alcuni stati tra quelli persi tra le elezioni del 2012 e quelle del 2016). Vi è stato un vero e proprio fenomeno di ritorno al passato, tanto che nell'osservare la suddivisione del voto per fasce di età si nota come negli elettori più giovani abbia prevalso lo sguardo rivolto al futuro e la scelta di Hillary Clinton presidente. 
Un capitolo a parte - ma non tanto a parte - merita la riforma della sanità fortemente voluta da Obama: per noi europei che consideriamo la sanità pubblica sostanzialmente un diritto acquisito, rimane probabilmente inconcepibile come alcuni cittadini americani non fossero soddisfatti  dell'apertura dei servizi sanitari essenziali a tutti. Pare un tema sostanzialmente differente rispetto al razzismo e al sessimo, ma non lo è: la base di partenza è la stessa, l'insicurezza di chi credeva di avere un privilegio in qualche modo meritato in quanto lavoratore oltre un certo reddito che si vede tolte le proprie prerogative, vede livellato il proprio status sociale con chi riteneva non essere parte del suo mondo. Il filo conduttore è il medesimo, un diverso che si vuole che rimanga tale perché accettarlo e inglobarlo a pieno titolo nella società è troppo faticoso e richiede troppi strumenti culturali di comprensione, di mediazione, troppa predisposizione al cambiamento e a essere essi stessi parte del cambiamento. 
Quindi la rivoluzione-Obama ha fallito? Certamente no. I semi una volta gettati e sparsi non possono che crescere rigogliosi e viaggiare trasformandosi in idee e progetti di altri uomini e altre donne e porteranno probabilmente degli ottimi frutti in futuro. Ma per questa volta l'America rurale, calvinista nel senso più antico del termine ha dimostrato di avere radici più profonde di quanto credessimo. Come una pianta moribonda ma con forti radici e appigli, tenta disperatamente di recuperare il proprio terreno per non essere soppiantata dalla bellezza di una parità sessuale, razziale e di classe che andrebbe a cambiare ancor più profondamente il tessuto sociale di quegli Stati. 


Manca poco ... informatevi! Per un sì convinto e consapevole

A 3 settimane dal referendum costituzionale che si terrà domenica 4 dicembre (ricordo che si vota solo domenica, dalle 7 alle 23), sono certa che molti di voi ancora non hanno scelto che cosa votare il 4 dicembre. Ovunque voi abitiate, nelle prossime settimane si susseguiranno una serie costante di appuntamenti sulla riforma costituzionale: dibattiti sì/no, comitati aperti, confronti più o meno pubblici, etc. Invito tutti voi a partecipare ad almeno un dibattito dal vivo: anche se non siete giuristi o costituzionalisti e della riforma non avete capito un gran che dal punto di vista tecnico, non è mai una buona idea informarsi solo su un unico mezzo di comunicazione, sia esso la televisione o il web: ciascun modo di comunicare ha i suoi pregi e i suoi difetti e molte volte rimaniamo colpiti più dalla caratteristica dell'oratore che il mezzo fa emergere che non dal contenuto di quello che ci viene detto. Accade ad esempio con i talk show televisivi, dove politici ed esperti (o presunti tali) di ogni parte di urlano contro chi la pensa diversamente invettive di ogni genere e appena uno dei due sfidanti prova ad entrare nel merito dei contenuti della riforma, l'altro lo interrompe non lasciando il tempo a chi ascolta di metabolizzare e assorbire i contenuti, farli propri per poi formarsi un'opinione personale. Accade anche con il web, dove spesso manca la possibilità di sapere quanto sia autorevole chi scrive dall'altra parte, quanto abbia effettivamente studiato la riforma, e se i dati riportati siano corretti. Certo si possono confrontare materiali di più parti e verificare le fonti (cosa che invito sempre a fare), ma un passaggio di persona credo sia comunque necessario: l'ascolto diretto, la possibilità di porre domande, sedersi comodi con altri condividendo l'esperienza di incontro e apprendimento credo sia la chiave per ampliare i propri orizzonti su quelli che sono i punti di vista sulla riforma e conoscerne meglio le effettive conseguenze per il Paese. Allego un po' di inviti ad incontri che si terranno prossimamente in Brianza, invito tutti gli altri comunque a cercare su facebook eventi vicini a casa o a guardare i manifesti appesi per strada e dedicare qualche ora reale e non virtuale all'approfondimento. Abbiamo tutti bisogno della vostra partecipazione attiva!
Per chi vuole informarsi nel merito sui contenuti inoltre consiglio di scaricarsi il testo della Costituzione prima e dopo la riforma qui: http://documenti.camera.it/Leg17/Dossier/Pdf/AC0500N.Pdf  









mercoledì 9 novembre 2016

La democrazia è stata sopravvalutata?


Un giorno di 10 anni fa circa, in una stazione di Chicago, incontrai un signore non giovanissimo, buffo e sorridente, che prese il mio stesso treno per Los Angeles e rallegrò la carrozza suonando la chitarra per un po' di ore. Mi chiese da dove venivo, e alla mia risposta "Italy" rise fragorosamente "ahaha Italy, Berlusconi ..." 
L'ho pensato stamattina, non so se sia ancora vivo ma nel caso, probabilmente si sta vergognando della scelta dei suoi concittadini come moltissimi americani. Credo che molti statunitensi proveranno un forte desiderio di espatrio. Oggi gli Stati Uniti hanno cambiato il corso della storia, hanno scelto un cafone populista che non ha rispetto per le donne, miliardario, che evade le tasse, e lo hanno mandato nella stanza dei bottoni. Ha vinto il capitalismo, l'illusione di una "grandezza americana" - come se il cittadino americano debba per forza sentirsi parte di un Paese "grande", indipendentemente da cosa possono essere tutti gli altri. La ricchezza come metro di giudizio della persona, non i valori, non la cultura, non la preparazione politica, non la capacità di spiegare la complessità dell'economia e della situazione internazionale ai cittadini, non la rappresentazione della società civile, non la speranza per il futuro.
Neppure il sogno americano in senso classico, essendo Trump un "figlio di" quindi non si può neanche dire che ci sia stima per essersi "fatto da solo".
Crollata la borsa di Tokio e la moneta messicana al minimo storico, ma gli statunitensi vogliono essere "grandi". Grandi nel scegliere il capitalismo, nel scegliere il prodotto vincente del marketing e dell'idiozia? Grandi nel cacciar fuori gli altri? O nel cancellare le politiche di equità e giustizia portate avanti da 8 anni di un grandissimo Obama? 
La democrazia così come la conosciamo ne esce sconfitta. Non che non ci siano state avvisaglie nel referendum sulla Brexit o nel pericoloso prendere piede di forze populiste in molti Paesi occidentali. Ma sul tetto del mondo ora c'è un buffone, uno a cui non affideresti neanche una mezz'ora di trasmissione tv senza un moderatore.


giovedì 3 novembre 2016

Approvazione definitiva per la legge sul cinema e l'audiovisivo

Intervento in aula di Roberto Rampi sul DDL cinema approvato oggi in via definitiva alla Camera.



“Dopo un lungo e approfondito dibattito con gli operatori del settori, approviamo oggi una legge di riforma del cinema aspettata da molti anni che segna un punto di svolta. La funzione del cinema è una funzione democratica nella misura in cui favorisce il dibattito tra i cittadini e la partecipazione”. Lo ha detto Roberto Rampi, deputato del Pd componente della commissione Cultura durante la dichiarazione di voto sulla riforma del cinema nell’Aula di Montecitorio.
“Il cinema - ha proseguito Rampi - è una grande impresa italiana nella quale lavorano tante donne e tanti uomini che hanno grandi talenti. L’arte cinematografica è stata capace di raccontare le trasformazioni sociali e momenti drammatici della storia italiana. Con questa riforma raddoppiamo il fondo per lo sviluppo degli investimenti nel cinema e nell’audiovisivo garantendo una dotazione minima di 400 milioni annui. La nostra attenzione è per i nuovi cineasti, per chi già lavora e per chi vuole iniziare. Apriamo anche al mondo dell’audiovisivo e ai nuovi linguaggi con cui si esprime l’arte cinematografica. Altra importante novità, come già previsto dalla riforma della scuola, è il potenziamento delle competenze cinematografiche ed audiovisive degli studenti. E un sostegno importante è previsto per le sale cinematografiche storiche e per chi ne vuole aprire di nuove. Dedichiamo questo importante risultato a Monica Vitti nel giorno del suo 85esimo compleanno”.